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Notizia del 18/02/2013

Il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo Enrico Cucchiani, il chief economist Gregorio De Felice e il responsabile della Ricerca Industry & Banking Fabrizio Guelpa hanno presentato oggi la quinta edizione del Rapporto annuale che il Servizio Studi e Ricerche della Banca dedica all’evoluzione economica e finanziaria delle imprese distrettuali. Il Rapporto analizza i bilanci aziendali degli ultimi quattro anni di oltre 13.000 imprese appartenenti a 144 distretti industriali e di quasi 36.000 imprese non-distrettuali specializzate nei settori produttivi rilevanti per gli stessi distretti. Il Rapporto presenta le stime sui risultati di bilancio delle imprese nel 2012 e le previsioni per il biennio 2013-14. L’analisi si sofferma, infine, sui fattori che potrebbero portare a uno strutturale ritorno a una migliore performance per le imprese dei distretti e sulle criticità da superare.

Risultati 2011-2012 – In un contesto molto difficile per l’economia italiana, il fatturato dei distretti ha registrato un aumento del 3% nel biennio 2011-2012, contro l’1% delle aree non distrettuali. Su questo miglior andamento ha inciso la più pronunciata propensione a esportare delle imprese distrettuali, che le ha premiate in un periodo di crescita della domanda mondiale e di debolezza della domanda interna. Nel biennio appena trascorso, infatti, il PIL mondiale è cresciuto del 5,2%, mentre in Italia i consumi delle famiglie e gli investimenti hanno accusato un calo rispettivamente pari al -4% e al -10,2%.

Sono rimaste elevate le differenze tra singoli distretti. Tra quelli in crescita e con buone condizioni reddituali sono stati selezionati gli 11 distretti migliori: un distretto specializzato in beni intermedi (la gomma del Sebino Bergamasco), cinque aree di specializzazione nel sistema moda (l’occhialeria di Belluno, la pelletteria e le calzature di Firenze, la concia e le calzature di Santa Croce sull’Arno, il tessile di Biella,  l’abbigliamento del napoletano), tre distretti agro-alimentari (i vini di Langhe, Roero e Monferrato, il prosecco di Conegliano-Valdobbiadene, i salumi di Parma), un polo del sistema casa (il marmo di Carrara) e uno della meccanica (le macchine per l’imballaggio di Bologna).

Previsioni per il biennio 2013-14 – Il 2013 dovrebbe caratterizzarsi per una modesta ripresa del fatturato (+1,1% a prezzi correnti). Determinanti nel condizionare il risultato, le attese di perdurante debolezza del mercato interno, soprattutto per i settori produttori di beni di consumo, quali alcuni settori a forte specializzazione distrettuale (mobili, sistema moda e alimentare).

La ripresa dell’attività produttiva è pertanto rinviata al 2014, quando il fatturato delle imprese distrettuali dovrebbe mostrare un aumento del 4,0%. Migliori prospettive di crescita interesseranno la filiera metalmeccanica che trarrà beneficio da una lenta ripresa del ciclo degli investimenti destinati al potenziamento qualitativo e di efficienza del tessuto produttivo italiano e, soprattutto, dall’elevata competitività di molti prodotti italiani sui mercati internazionali.

 

I punti di forza – Il Rapporto si sofferma sui fattori che potrebbero contribuire al mantenimento strutturale di migliori risultati nei distretti rispetto alle imprese non distrettuali.

Le imprese distrettuali presentano una più elevata propensione sia a esportare sia a investire all’estero. Il 41% circa delle imprese distrettuali esporta; nelle aree non distrettuali questa quota è di molto inferiore e si colloca al 30%. Inoltre, il numero delle partecipate estere ogni 100 imprese è pari a 34 nei distretti, mentre nelle aree non distrettuali si ferma a 25. In particolare, tra le imprese distrettuali vi sono più investitori (8,9% delle imprese contro 7,1% per le aree non distrettuali) e ogni investitore ha una presenza più capillare.

Anche in termini di propensione a brevettare esiste un differenziale importante a favore delle imprese distrettuali. Il numero di domande di brevetto ogni 100 imprese è, infatti, pari a 45 nei distretti e a 32 nelle aree non-distrettuali (domande presentate allo European Patent Office negli ultimi quattro anni). Questo differenziale non si spiega tanto con il maggior numero di imprese brevettatrici nei distretti, quanto, invece, con il maggior numero medio di brevetti per impresa, favorito dal ruolo trainante di alcune imprese leader altamente vocate all’innovazione tecnologica (7,1 brevetti pro-capite contro 4,8). Accanto a queste imprese convive un ricco tessuto di soggetti coinvolti nei processi di innovazione.

Si osserva infine una maggiore propensione a registrare marchi a livello internazionale tra le imprese dei distretti, in conseguenza, molto verosimilmente, della più elevata presenza sui mercati esteri rispetto alle imprese non distrettuali. Nei distretti, infatti, il numero di marchi ogni 100 imprese è pari a 40 circa, mentre nei non distretti non supera i 21. Questo risultato si spiega sia con una più alta percentuale di imprese che detiene marchi (11,5 imprese ogni 100 ha registrato almeno un marchio a livello internazionale, contro il 7,4% nel caso delle imprese non distrettuali), sia con un maggior numero medio di marchi per impresa che detiene marchi (3,4 contro 2,8). I marchi detenuti offrono inoltre protezione per un maggior numero di paesi.

Nei distretti pertanto la prossimità territoriale sembrerebbe aver favorito, grazie ai processi imitativi, una maggiore diffusione di strategie imprenditoriali vincenti.

 

Le criticità – Le relazioni lungo la filiera tra le imprese dei distretti presentano alcune importanti criticità. Il modello italiano di catena del valore è infatti da tempo messo in discussione dagli effetti della globalizzazione, poiché le imprese committenti sono state spesso tentate di ricorrere a subfornitori localizzati in paesi a basso costo del lavoro. Inoltre, nel caso in cui i committenti abbiano iniziato a produrre direttamente all’estero, i subfornitori hanno trovato difficoltà a seguirli. Alcune imprese ne hanno sofferto più di altre: la distanza tra le piccole imprese migliori e quelle peggiori è diventata significativa (circa 21 punti percentuali per l’EBITDA margin: +18,2% vs. -2,7%).

Nel Rapporto, attraverso un’indagine sul campo effettuata in alcuni distretti dell’Emilia Romagna, si è cercato di capire se e quanto alcune competenze dell’impresa subfornitrice rendano strategico per il committente il mantenimento della relazione di fornitura a livello locale. L’analisi si è concentrata sulla dicotomia tra competenze più semplici (la semplice fornitura di capacità produttiva, i bassi costi, …), che fanno correre un maggior rischio di disimpegno del committente, rispetto a quelle che offrono al subfornitore un effettivo “potere di mercato” (capacità innovativa autonoma, integrazione propositiva in un sistema di produzione orientato alla qualità, time-to-market…) e una più alta probabilità di mantenere un legame di lungo periodo.

I dati mostrano che i fornitori più innovativi e qualificati hanno performance nettamente migliori, e che i committenti anche in futuro intendono avvalersi di loro: i minori costi dei subfornitori esteri possono essere più che controbilanciati. “Produrre in Italia si può”, ma occorrono investimenti in conoscenza e un’offerta di qualità che siano il più possibile diffusi.

In quest’ottica anche per le imprese di subfornitura è necessario superare la debolezza finanziaria che caratterizza la media delle PMI italiane, sia attraverso un maggiore equilibrio tra mezzi propri e indebitamento, sia tramite una riduzione dei tempi di pagamento per alleggerire il peso dei crediti commerciali.

FONTE: GAZZETTADASTI.IT



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