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Notizia del 17/06/2015

Il settore del lusso ha di fronte a sé un’altra decade di crescita. A patto di investire su autenticità, trasparenza delle produzioni e digitale. «La frenata del motore asiatico trasformerà la corsa degli ultimi 15 anni in una camminata a passo molto veloce: sarà una crescita basata per il 70% sullo sviluppo organico e solo per il 30% su nuovi negozi, mentre negli ultimi dieci anni le percentuali erano pressoché invertite. Ma sempre di crescita si tratterà».

Antonio Achille, partner e managing director di Boston Consulting Group (Bcg), ha aperto i lavori del 7° Luxury Summit del Sole 24 Ore con questa iniezione di ottimismo. Dal 2008 al 2014 il Cagr del mercato dei beni di lusso è stato infatti del 5% (con punte del 9% per alcuni settori) e da qui al 2015 si prevede un tasso del 4-5%. «Il tema del retail è stato al centro delle strategie di tutti i marchi, sia per i mercati tradizionali (Europa, Stati Uniti e Giappone) sia per quelli emergenti. Ora è tempo di cambiare, dati alla mano – ha sottolineato Achille –. In un negozio di via Monte Napoleone di 200 metri quadri, ad esempio, dal 2005 al 2013 gli ingressi sono passati da 57mila all’anno a 48mila e i clienti veri e propri da 8 a 7mila. È aumentato lo scontrino medio, certo, da 500 a 700 euro, ma l’affitto è cresciuto di più, passando da 5.500 euro al metro quadro all’anno a 8.500 euro».

Sono altri quindi i fronti sui quali lavorare, per costruire una relazione più solida con il consumatore, che tra l’altro sempre più spesso si informa o compra online e vuole sapere tutto sull’origine dei prodotti. «Abbiamo condotto uno studio su 10mila consumatori del lusso in 10 Paesi, da cui emerge che l’81% dei clienti di alta gamma nel mondo verifica il “made in”. La percentuale è ancora più alta, dell’87% ,nei mercati emergenti di Cina, Brasile, Corea e Medio Oriente». Non solo, dal sondaggio Bcg emerge anche che il “made in Italy” è la migliore garanzia di lusso per abbigliamento, accessori e gioielli, mentre il “made in France” si piazza al secondo posto. Solo negli orologi i clienti globali del lusso considerando il “made in Swiss” una garanzia ancora maggiore rispetto al made in Italy.

Achille ha parlato dell’apparente paradosso tra necessità di crescita – anche per brand o aziende che hanno già dimensioni ragguardevoli, da 500 milioni di euro in su – e mantenimento di un’aura di esclusività. «L’unica strada è investire su qualità e artigianalità, persino quando si devono fare grandi numeri, perché sono queste le parole più citate quando chiediamo ai consumatori cosa significhi per loro lusso».

Altro tema centrale per i prossimi anni è il percorso che porta a scegliere un marchio, sempre più influenzato dal mondo digitale e in particolare da social media e blog. «In soli 12 mesi c’è stato un cambiamento molto significativo – ha spiegato Achille –. Nel 2013 il 50% dei clienti decideva cosa comprare dopo aver sfogliato una rivista più o meno specializzata o un magazine , mentre il 43% delle scelte erano influenzate dal passaparola. Nel 2014 le percentuali sono molto cambiate: il passaparola è salito al 49%, i magazine sono scesi al 39%. Ma dobbiamo intenderci sull’idea di passaparola: quel 49% è la somma di un 29% nel mondo fisico e di un 20% in quello virtuale».

Tornando alla distribuzione, i dati Bcg mostrano come già nel 2014 il negozio fisico non sia più il primo canale di vendita: è stato scelto solo nel 38% dei casi. Il restante 62% ha adottato un approccio “misto”: il 45% «ha fatto ricerche online e comperato offline», il 9% ha fatto «showrooming» (provare in negozio, comprare online) e l’8% ha cercato e comprato online. Last but not least – visto che la Cina ha rallentato ma resterà il motore a lungo termine del mercato del lusso – Boston Consulting Group invita a considerare che la distribuzione omnichannel è importante per il 75% dei clienti del lusso a livello mondiale, con un picco del 90% tra i consumatori cinesi.

 [fonte: ilsole24ore.com]



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