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Notizia del 30/07/2012

Lo spread risale, banche e borse sono sotto attacco e chi dovrebbe lanciare ciambelle di salvataggio trascura l’economia reale. Allora Pasquale Natuzzi, leader del divano made in Italy (486 milioni di ricavi nel 2011, il 90 per cento all’estero, quasi 1.000 negozi nel mondo), prova a rimescolare le carte: «Se le priorità della politica sono altre, toccherà a noi imprenditori inventarci qualcosa».

Cosa ha in mente?

Penso a un’iniziativa che coinvolga produttori, associazioni di categoria, sindacati, enti locali: busserò a tutte le porte.

Per dire cosa?

Che il mercato è fermo, per cui l’occupazione e la redditività potrebbero ridursi ancora. Che abbiamo comunque carte importanti da giocarci in aree come i Brics, l’America che è già in ripresa e il Medio Oriente. Che però ce la faremo solo se il made in Italy sopravviverà.

Chi lo sta uccidendo?

Gli stessi grandi nomi che lo esibiscono come sinonimo di qualità, ma poi ricorrono a pratiche poco limpide.

Si riferisce alla sentenza del Tribunale di Forlì che ha condannato quattro produttori italiani di divani, riconoscendone la correità con i subfornitori cinesi colpevoli di avere violato le norme di sicurezza sul lavoro?

Finalmente si individua non solo nei terzisti scorretti ma anche nei loro committenti il volano dell’illegalità. Ma di casi come questo ne esistono a decine, anche qui, nel distretto dell’imbottito di Matera.

Con quale risultato?

Una corsa al ribasso che taglia fuori dal mercato gli onesti. Ci perdono le aziende, perché è illusorio cercare di resistere alla crisi solo delocalizzando e sfruttando: i buyer stranieri se ne accorgono. E ci perdono i lavoratori.

Anche la Natuzzi, però, ha 2.400 persone in cassa integrazione, e fabbriche in Cina, Brasile e Romania.

Le produzioni straniere non sono spacciate per made in Italy e sono destinate al mercato locale. Negli impianti italiani produciamo la marca Natuzzi che risente della crisi europea, ma non ho mandato via i miei operai sostituendoli coi contoterzisti, come fa qualche mio illustre collega.

Affermazione pesante.

Basta incrociare prezzi, numero dei dipendenti e contratti per capire che i conti non tornano. Servirebbero regole certe sulla tracciabilità e controlli più seri. Purtoppo in tempi di spread questa non è una priorità della politica. E allora ci tocca contare solo su noi stessi.

FONTE: PANORAMA.IT



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