ORGANIZZAZIONE A TUTELA VALORIZZAZIONE E ACCREDITAMENTO ALL'ESTERO DEL VERO PRODOTTO ITALIANO
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Notizia del 23/11/2012

Il tema della protezione delle produzioni italiane di qualità è strettamente correlato a quello
della lotta alla contraffazione, tanto che si potrebbe dire che la più autentica ed efficace difesa
dei prodotti “Made in Italy” è proprio costituita dall’innalzamento del livello di protezione contro
la contraffazione di marchi, brevetti, design, diritto d’autore e denominazioni d’origine protette.  
 
Anche per gli interventi più propriamente diretti a contrastare l’inganno del pubblico derivante
dall’impiego improprio di indicazioni che rivendicano un’origine italiana a prodotti che non
hanno i requisiti per vantarla – che al pari della  contraffazione penalizzano gravemente
l’industria manifatturiera del nostro Paese che già soffre per la concorrenza spesso sleale di
prodotti provenienti da Paesi emergenti e in particolare per le varie forme di parassitismo che
ad essa si accompagnano – è assolutamente indispensabile un'attività rigorosa di
coordinamento, impulso e revisione.
 
Negli ultimi anni, infatti, si è assistito a un proliferare di iniziative in materia, spesso nate sotto
la pressione di esigenze contingenti e prive di un  disegno unitario, che si sono purtroppo
caratterizzate per una disorganicità almeno pari alle buone intenzioni che stavano alla base di
esse, tanto più in quanto non si è tenuto sufficientemente in conto il fatto che la materia è già
in parte disciplinata da una fonte sovraordinata al nostro diritto nazionale, e segnatamente dal
Codice Doganale Comunitario, che prevede che i prodotti che hanno subito lavorazioni in Paesi
diversi debbano ritenersi originari dell’ultimo Paese in cui hanno subito una trasformazione
sostanziale: il che comporta tra l’altro per la nostra autorità giudiziaria la necessità di
disapplicare eventuali disposizioni in contrasto, stante il noto principio della prevalenza delle
norme comunitarie su quelle interne difformi, anche successive.  
 
Ciò non ha giovato alla chiarezza della disciplina e alla certezza del diritto, necessarie in tutti i
campi ma specialmente in relazione a norme sanzionatici penali o che comunque prevedono
l’applicazione di sanzioni amministrative di tipo affittivo: e paradossalmente ha “reso la vita più
difficile” proprio alle imprese italiane oneste, alle quali ha imposto oneri e spesso impossibile di
difficile attuazione, lasciando al contempo larghe maglie attraverso le quali ha avuto buon
gioco ad infilarsi chi vive invece ai margini e oltre i margini della legalità.
 
La tutela delle imprese e dei consumatori contro l’uso di indicazioni idonee ad ingannare il
pubblico in relazione a caratteristiche rilevanti dei prodotti o dei servizi per i quali esse
vengono usate, e il correlativo approfittamento parassitario della meritata fama di qualità di cui
beneficia in molti settori la nostra industria manifatturiera, richiedono invece una disciplina il
più possibile semplice e chiara, fondata su prescrizioni generali valide per tutte le fattispecie,
conformemente ai principî stabiliti dal legislatore comunitario e nel rigoroso rispetto del
principio costituzionale di eguaglianza; specialmente in materia di origine dei prodotti le
disposizioni adottate dal legislatore interno devono quindi rispettare il divieto d’introdurre
misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative, vietate dall’art. 28 (30) Trattato C.E. e
seguire rigorosamente il sistema di comunicazione anticipata obbligatoria alla Commissione
Europea previsto per le normative di natura tecnica previsto dal la Direttiva n. 98/34/CE, e ciò
anche per prevenire il rischio di nuove procedure d’infrazione contro il nostro Paese.  
 
La censura espressa ad opera della Commissione Europea subita proprio per questo dal più
recente di questi interventi (la legge n. 55/2010,  di cui il Governo ha perciò sospeso
l’applicazione alla vigilia della sua entrata in vigore, con una Direttiva rivolta alle Pubbliche
Amministrazioni competenti) ha infatti certamente contribuito ad indebolire la nostra posizione
in sede comunitaria, e non è verosimilmente estranea neppure al recentissimo stralcio della
proposta di un Regolamento comunitario sull’etichettatura d’origine obbligatoria per certe
categorie di prodotti provenienti da Paesi esterni all’Unione Europea, proposta che presentava
peraltro anche di per sé varie criticità, soprattutto per la scelta di seguire un “criterio di
origine” diversificato per talune specifiche categorie merceologiche.
 È dunque necessario e indifferibile mettere al più  presto in cantiere la semplificazione e il
riallineamento al diritto comunitario della nostra normativa interna in materia, come premessa
indispensabile per riprendere con maggiori prospettive di successo la battaglia per ottenere il
varo di una norma europea di portata generale e di applicazione il più possibile agevole che
renda obbligatoria l’etichettatura di origine, in entrata e in uscita dal territorio doganale
comunitario, come dal resto già è previsto in altri Paesi come gli Stati Uniti.   
 
In pari tempo però occorre acquisire la consapevolezza del fatto che non è tanto sul mercato
nazionale, quanto su quelli stranieri che occorre difendere con maggior vigore il valore
aggiunto che la “qualità italiana” rappresenta per  i consumatori e che quindi in attesa di un
intervento auspicato del legislatore comunitario ci si deve valere degli strumenti giuridici già
oggi esistenti.
 
  In questo senso appare senz’altro da sostenere e incentivare l’istituzione di
marchi collettivi, conseguibili a livello nazionale, comunitario e internazionale,
idonei a far meglio percepire e valorizzare al pubblico la qualità dei nostri prodotti
e il valore aggiunto che essa rappresenta, anche attraverso adeguate campagne
di comunicazione.
Questo strumento, volontario e quindi agevolmente implementabile, pienamente compatibile
col diritto comunitario (che prevede già l’istituto) in quanto venga utilizzato in relazione ad una
qualità obiettiva garantita e controllata, agile e snello e perciò adattabile alle diverse esigenze
delle diverse categorie merceologiche, servirebbe infatti a rendere percepibile la differenza  tra
veri e falsi prodotti “Italian sounding” al pubblico, soprattutto straniero (ma anche italiano) che
già apprezza l’origine italiana delle merci, ma spesso non li sa distinguere; e in pari tempo
contribuirebbe anche a una nuova “Cultura del Made in Italy”, diffondendo la conoscenza delle
qualità obiettive della nostra produzione, spesso oggetto di un generico apprezzamento non
accompagnato però dalla conoscenza effettiva dei veri plus di questa produzione.
 
Ciò renderebbe più agevole anche la penetrazione dei nostri prodotti sui nuovi mercati che la
globalizzazione dell’economia e il miglioramento delle condizioni di vita anche in aree del
mondo che ancora pochi anni fa sembravano incapaci  di uscire da una condizione di
sottosviluppo sta aprendo, e sui quali solo la formazione di “consumatori consapevoli” potrà
consentire al nostro Paese di competere col successo che merita.
 
  Il Consiglio ritiene strategico anche in materia di tutela del Made in Italy e della
lotta alla contraffazione una sinergia con la Nuova Agenzia ICE, così come il
supporto attivo ad ogni iniziativa volta al riconoscimento del  made in Italy e
comunque delle indicazioni di provenienza nelle opportune sedi a livello europeo
e internazionale

 

FONTE: CNAC.GOV.IT



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