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Notizia del 03/12/2012

Continua anche a settembre la frenata delle esportazioni, ossigeno in questi anni per molte imprese italiane. Lo confermano i dati pubblicati poco più di una settimana fa dal-l’Istat. Numeri che mettono in luce un calo tendenziale delle vendite oltre confine in valore del 4,2 per cento rispetto al mese precedente. Per fare affari le aziende del Made in Italy devono andare sempre più lontano, verso gli Stati Uniti e il Giappone. E’ proprio il mercato europeo che ci penalizza di più. La Germania a settembre ha ridotto del 10,3 per cento gli acquisti di nostri prodotti, con un calo mensile di 453 milioni di euro. Ed è diminuito anche lo shopping di Francia e Spagna, principali sbocchi per le nostre aziende. Resiste solo il Regno Unito. E così vengono colpiti quasi tutti i settori. Solo poche le eccezioni: dalla frenata si salvano l’alimentare e la farmaceutica. Per il resto è una lunga sequenza di segni meno, con cali pesanti per tessile, l’abbigliamento, l’elettronica, la gomma-plastica. Reggono invece le esportazioni nei Paesi extra Ue, che comunque da qualche mese manifestano segni di debolezza, con le vendite in discesa anche in Cina rispetto allo stesso mese nel 2011. «Questi dati significano che il commercio mondiale si è fermato e che la politica dell’eccessiva austerità che ci ha imposto l’Europa non paga». spiega Marco Fortis, docente alla Cattolica di Milano nonché vicepresidente Fondazione

Edison. Spiega Fortis: «Comunque se le esportazioni italiane sono calate un po’ a settembre, nel complesso non sono andate male salendo nei primi 9 mesi del 2012 del 3,5 per cento rispetto allo stesso periodo del 2011. Si sono invece ridotte molto le importazioni, crollate del 6 per cento, danneggiando anche la Germania. «I tedeschi hanno impiegato un po’ di tempo a capirlo — afferma Fortis — troppo rigore penalizza tutti. E nel momento in cui Spagna e Italia sono entrate in recessione diversi milioni di persone hanno smesso di comprare auto. Solo gli italiani nei primi otto mesi dell’anno hanno importato 1,6 miliardi di euro di vetture tedesche in meno ». Le aree del nostro Paese più colpite dal lento ma costante rallentamento dell’export secondo Bankitalia nel primo semestre dell’anno sono state il Nord Est, locomotiva del made in Italy (—1,8 per cento), ma non è andata bene nemmeno per il Centro Italia. Mentre il Nord Ovest ha segnato una crescita delle esportazioni dell’1,3%, in rallentamento però rispetto al periodo luglio-dicembre 2011 quando segnavano un +1,9 per cento. Bene anche il Sud Italia con un +5,5 per cento frutto delle esportazioni di petrolio dalla Sicilia. Dando uno sguardo ai distretti industriali, quelli in cui le esportazioni calano di più sono quelli dell’automazione- meccanica- gomma- plastica che pesano da soli circa un terzo del campione preso in esame dalla Fondazione Edison. Fanno eccezione e crescono le esportazioni delle macchine utensili di Forlì-Cesena e di Pesaro- Urbino e della rubinetteria di Omegna, delle macchine per imballaggio di Bologna, degli apparecchi domestici di Treviso e delle macchine industriali di Varese. Chi dimezza l’export sono invece i produttori di macchine industriali di Treviso, perdono anche quelli di Brescia e di Bologna, per citare solo alcuni dei distretti con esportazioni superiori ai 120 milioni di euro e con perdite superiori al 12 per cento. Nel comparto dell’abbigliamento- moda va bene la gioielleria di Arezzo che però vende sempre più oro e meno gioielli. Il distretto orafo di Vicenza. I distretti tessili della Valsesia e di Perugia, i due distretti calzaturieri di Firenze e del Fermano. Bene anche i distretti del comparto Hi-tech e in modo particolare l’elettronica dell’Etna Valley, le autovetture sportive di Maranello, gli aeromobili di Vergiate e i cosmetici di Milano. Tra i distretti dell’arredo- casa vanno a gonfie vele quello del mobile di Pesaro-Urbino e i due distretti delle pietre ornamentali di Pietrasanta e di Massa Carrara. Bene anche il distretto dell’alimentare-vini del Chianti fiorentino. «I problemi delle esportazioni del Made in Italy non dipendono solo dalle dimensioni delle imprese — afferma l’economista Fortis — In Italia su 86mila piccole imprese manifatturiere esportatrici (con meno di 50 dipendenti) ve ne sono circa 38mila che hanno più di 10 addetti e che se la cavano benissimo sui mercati esteri, esportando quasi 50miliardi di euro di prodotti, muovendosi con disinvoltura e capacità». Insomma tra le piccole imprese italiane non ci sono solo microimprese e secondo Fortis molte sono all’altezza del ruolo che sono chiamate a svolgere: «Sono le grandissime aziende che in Italia sono sempre meno. Sono quasi tutte morte. Nel nostro paese non c’è un problema di pmi che hanno difficoltà a stare su mercati diversi dal nostro, ma di gruppi importanti che o sono stati comprati o sono spariti per sempre». Altro mito che Fortis tiene a sfatare è quello sugli investimenti in innovazione e sviluppo: «C’è chi dice che le nostre imprese non vi investono abbastanza, ma non è così. Prima di tutto non si considera la ricerca non contabilizzata delle nostre pmi. Poi la Germania spende l’1 per cento del Pil in ricerca in più di noi ma ha quattro colossi dell’auto dalla sua che vi investono da soli 16 miliardi di euro. Noi abbiamo solo la Fiat che spende appena 1,6 miliardi circa all’anno. Tutto il resto lo fanno le medie e piccole imprese».

 

FONTE: REPUBBLICA.IT



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