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Notizia del 29/10/2012

La contraffazione in Italia fa registrare un fatturato vicino ai 7 miliardi di euro, che costa 110mila posti di lavoro e un mancato gettito fiscale di 4,6 miliardi.

Sono le cifre del rapporto del Censis “L’impatto della contraffazione sul sistema Paese: dimensioni, caratteristiche e approfondimenti“. Il settore maggiormente colpito è quello dell’abbigliamento, seguito da cd, dv e software e dall’alimentare. Il mercato illegale si alimenta anche grazie a un’alta domanda, incentivata dai prezzi bassi. Vediamo i dati nel dettaglio.

Il mercato della contraffazione fattura 6,9 miliardi di euro. Il segmento più fiorente riguarda abbigliamento e accessori, con un giro d’affari da quasi 2,5 miliardi. Seguono cd, dvd e software, 1,8 miliardi, e i prodotti alimentari, 1,1 miliardi di euro.

Relativamente ingenti anche i ricavi di altri settori, come gli apparecchi e materiale elettrico (sopra i 600 milioni), orologi e gioielli, circa 450 milioni, il materiale informatico, 243 milioni: intorno ai 100 milioni il fatturato di profumi e cosmetici (qui il fenomeno più che la falsificazione dei marchi prevede un’importazione parallela di prodotti che vengono commercializzati in Italia, a prezzi bassi e tramite canali non ufficiali, pur se destinati a paesi diversi), e dei pezzi di ricambio auto.

Infine, ci sono mercati illegali più ridotti, ma pur sempre esistenti, sui giocattoli (quasi 30 milioni) e su un settore delicato come i medicinali (20 milioni).

Se i prodotti contraffatti fossero venduti sul mercato legale ci sarebbe una produzione aggiuntiva per 13,7 miliardi, e un valore aggiunto di 5,5 miliardi. Significherebbe 110 milioni di posti di lavoro in più.

La produzione aggiuntiva sarebbe in grado di attivare importazioni (materie prime, semilavorati, servizi dall’estero) per 4,2 miliardi.

Il mercato dei prodotti contraffatti genera un mancato gettito fiscale di 1,4 miliardi calcolando le sole imposte dirette e di 4,6 miliardi contando anche le imposte indirette (IVA).

Il mercato illegale si alimenta di diverse pratiche: contraffazione dei marchi, ma anche del design (pratica diffusa nella pelletteria, nell’arredamento, illuminazione), abuso della dicitura Made in Italy o di analoghe indicazioni di origine (qui il settore più colpito è l’alimentare), e l’importazione parallela (come visto, interessa i cosmetici).

C’è anche una precisa segmentazione, con imitazioni più grossolane, e a prezzi molto bassi, e altre invece maggiormente sofisticate, per consumatori più esigenti. Le copie italiane sono generalmente di migliore fattura rispetto a quelle cinesi o comunque di fabbricazione estera, e vengono vendute a prezzi maggiori.

Nella pelletteria, ad esempio, esiste un mercato dei falsi di pregio, con tanto di certificati di garanzia e di autenticità, tagliandi con codici dei prodotti, scatole e bustine con impresso il marchio della griffe, libretti esplicativi della storia del marchio. In questo modo è sempre più difficile dinstinguere l’imitazione dal prodotto originale.

I canali di vendita sono molteplici: bancarelle, ambulanti, negozi, siti internet.

Sono diverse le spinte all’acquisto di questo tipo di prodotti: il prezzo basso, lo status del prodotto griffato. Lo studio evidenzia come il consumatore in genere non ritenga di aver commesso un atto sbagliato, dannoso per l’economia, ma anzi spesso pensi di aver fatto un affare, in un contesto di mercato in cui i prezzi sono percepiti come troppo alti.

Secondo il Censis, accanto alle azioni repressive e sanzionatorie sarebbe opportuno garantire un’adeguata informazione, rivolta soprattutto ai giovani, che metta in luce i danni all’economia ed il ruolo della criminalità organizzata su tutta la filiera, argomento rispetto al quale i consumatori mostrano sensibilità.

FONTE: PMI.IT



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